Omelia Domenica XXVII - A
La parabola dei «vignaioli omicidi» è così dura che a noi cristiani costa molto pensare che questo avvertimento profetico, rivolto da Gesù ai capi religiosi del suo tempo, abbia qualcosa a che vedere con noi. Il racconto parla di alcuni contadini incaricati da un uomo di lavorare la sua vigna. Giunto il tempo della vendemmia, succede qualcosa di sorprendente e di incredibile: i contadini di rifiutano di consegnare il raccolto. La loro insolenza ha dell’incredibile. Uno dopo l’altro, uccidono i servi inviati dal proprietario per riscuotere i frutti. E non basta. Quando manda loro il proprio figlio, lo cacciano «fuori dalla vigna» e lo uccidono per rimanere gli unici padroni di tutto. La loro unica ossessione è quella di «avere la sua eredità».
 
Se qualcuno, oggi, ci raccontasse un fatto simile noi, nel migliore dei casi, ci indigneremmo e condanneremmo quei vignaioli assassini con ogni genere di parole di protesta. Il nostro così detto senso morale si ribellerebbe dal più profondo dell’anima: quello che hanno fatto questi vignaioli è terribile e mostruoso. Hanno ucciso senza pietà dei poveri servi inermi e perfino il figlio del proprietario. Abbiamo paura che un fatto simile potrebbe accadere anche a noi. Eppure, è ciò che accade ogni giorno nei confronti di Dio che è il nostro Creatore e Padre! Ogni offesa a Dio, infatti, non suscita in noi quell’indignazione poiché Dio non si vede e non protesta, ma Dio, ci dice Gesù, è il proprietario della vigna, il creatore della nostra vita. E questo non accade solo nei non credenti (che non conoscono Dio e forse non hanno interesse a conoscerlo), ma soprattutto nei cristiani e nella Chiesa che pure dicono di credere in Dio.
Noi siamo in grado di deludere Dio che si aspetta qualche frutto buono dalla nostra vita e invece raccoglie amarezze e delusioni proprio da coloro che si dicono vicini a Lui e addirittura si credono i suoi amici.
In realtà, l’avvertimento profetico di Gesù riguarda proprio noi, e non solo i capi religiosi del suo tempo. Di fatto, la parabola è stata conservata dagli evangelisti non per aumentare l’orgoglio della Chiesa – nuovo Israele – di fronte al popolo ebraico, sconfitto da Roma e disperso per tutto il mondo. La preoccupazione degli Evangelisti era un’altra: può avvenire alla Chiesa cristiana la stessa cosa che è avvenuta all’antico Israele? Può la Chiesa deludere le aspettative di Dio? E se la Chiesa non produce i frutti che Lui spera, quali vie seguirà Dio per portare a compimento i suoi piani di salvezza per l’umanità?
 
Il pericolo è sempre lo stesso, ieri come oggi e come domani. Israele, al tempo di Gesù, si sentiva al sicuro: aveva le Sacre Scritture, possedeva il tempio, si celebrava scrupolosamente il culto, si predicava la Legge, si difendevano le istituzioni religiose. Tutto perfetto. Non sembrava necessario qualcosa di nuovo. Bastava mantenere tutto in ordine. Ed è per tutti questi motivi che Gesù, il Figlio di Dio, è stato rifiutato senza appello e condannato. Ma i cristiani sono forse migliori? È sicuro che anch’essi, non a parole ma con i fatti, non uccidono Gesù nella loro vita? È realmente il nostro pericolo, il pericolo della nostra fede: pensare che la fedeltà della Chiesa sia garantita dalla Nuova Alleanza e sentirci sicuri di possedere Cristo. Tuttavia, nessuno possiede Dio. La sua vigna appartiene solo a Lui. E se i cristiani, la Chiesa, non producono i frutti che Lui spera, Dio continuerà ad aprire nuove vie di salvezza anche senza di noi. E cioè in popoli che producono frutti. Come mai tante antiche chiese cristiane – le chiese fondate da San Paolo – sono scomparse? La risposta non è difficile secondo la parabola di Gesù: non portavano più frutti a Dio. E c’è da tremare di fronte a questo terribile avvertimento di Gesù: se deludiamo Dio, Egli si volgerà ad altri. E questo vale anche per noi preti che ci sentiamo, talvolta, i veri e unici proprietari della vigna di Dio. Al punto che possiamo mancare di sincerità, coltivare la menzogna sistematica, la doppia coscienza, e contemporaneamente sentirci al servizio di Dio. Solo che Dio potrà dirci un giorno: in verità, io non vi conosco!
Oggi, nel contesto della nostra cultura dominante, è questo il nostro pericolo: ci crediamo cristiani, ma viviamo come atei. Il filosofo Nietzsche ci ha detto, a modo suo, questo pericolo: “Dio è morto”, Dio non esiste, non è mai esistito. È la pazzia della nostra società consumistica sulla quale non posso soffermarmi per mancanza di tempo. Ma è innegabile che anche noi cristiani dobbiamo rabbrividire di fronte a questo grido che vuole dirci, dopo tutto, che noi uomini siamo soli e indipendenti da Dio nella costruzione del nostro futuro! E le conseguenze di questo sono attorno a noi: la “morte di Dio” sta creando un essere umano che lotta egoisticamente per se stesso, per le sue cose, per la sua verità e lotta con ogni mezzo per difendersi dagli altri. Un inferno di solitudine, di morte delle relazioni umane, di menzogne e compromessi d’ogni genere.
In questa domenica, qui a S. Leolino, ricordiamo lo straordinario esempio di Santa Teresa di Gesù Bambino che è vissuta al tempo in cui Nietzsche esplodeva nel grido di “Dio è morto”. Siamo alla fine dell’Ottocento e Teresa è vissuta soltanto ventiquattro anni. Perché la comunità di S. Leolino è legata profondamente a questa santa? È il vezzo di anime pie e un po’ fanatiche? È un capriccio religioso per sentirci buoni e a posto con Dio? No, e poi no! Teresa è per noi un “avvertimento” e una “consolazione”. Un avvertimento perché ci dice di continuo che noi possiamo deludere Dio, mentre Lei ha fatto di tutto proprio per non deludere Dio che amava con il cuore di un bambino. Leggete i suoi scritti e capirete: tutta la vita di Teresa è una lotta senza quartiere per non deludere il suo Gesù. Perché si può deludere Dio anche da cristiani o da religiose come Teresa. Lei non l’ha fatto e Dio ci ha detto, attraverso i miracoli dopo la sua morte, che Teresa non ha deluso Dio! In appena ventiquattro anni di vita ha prodotto frutti incredibili per tutta la Chiesa: conversioni, vocazioni, carismi e grazie senza numero.
 
Teresa è anche una consolazione per noi cristiani della società contemporanea. In che senso? Torniamo al grido di Nietzsche “ Dio è morto”. Teresa e qui a dirci che Dio non è morto affatto, e che anzi senza di Lui non possiamo né vivere né sperare in nulla. Dio può morire nel nostro cuore, nella nostra vita, ma Dio non è in possesso di noi. Non siamo noi i proprietari di Dio, forse siamo solo i proprietari del nostro egoismo e per il quale uccidiamo la nostra umanità. Così Teresa ci è stata donata da Dio per non credere alle false voci della sua “morte”. Ci è stata data da Dio in quest’epoca terribile, crudele, maniaca, blasfema e assassina. Teresa è la santa che soffre per noi e rimane con noi nel mezzo di tutto quello che c’è di più orrendo di questa civilizzazione putrida e morente da cui non sappiamo prendere le distanze (T. Merton). Teresa ci induce a confidare in Gesù, a fare di Lui il centro della nostra vita per non trovarci un giorno di fronte a questo Dio pieno di amore e di misericordia, - poiché il giudizio ci sarà, - pieni di confusione e di vergogna per non aver capito profondamente il suo cuore di Padre.
Ricordo che un giorno fu mostrata a Teresa una delle sue fotografie – proprio come questa che vedete di fronte a voi – e lei, sorridendo, disse: « Questa è la busta. Ma quando si potrà vedere la lettera? Io vorrei vederla.» . La nostra vita in questa terra, il nostro corpo con tutto quello che significa, le nostre preoccupazioni e i nostri desideri, è soltanto la “busta” di quello che siamo veramente. La “lettera”, invece, è la nostra anima, la parte più segreta e incomunicabile di noi che soltanto Dio può scriverla. Quel 30 settembre 1897, giorno della sua morte, Teresa ha avuto la grazia di conoscere la lettera di Dio per lei. Una lettera dolcissima e gentile, ispirata da Gesù, che quel giorno fu davanti a Dio, l’Altissimo, che pieno di gioia la fece leggere agli angeli. Teresa non aveva deluso Dio e aveva portato molto frutto.
Preghiamo Teresa di aiutarci a vincere tutte le tentazioni del nostro mondo che vuole escludere Dio dalla vita umana. Amen.    
 

 

 

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